The supermarket closed
ROMANIA - Bloccate le adozioni in attesa di nuove regole Il supermercato ha chiuso di RENATA MADERNA - foto di Fausto Tagliabue | |||
Stop all’esportazione di bambini che ha segnato la Romania dopo Ceausescu. Con l’aiuto della Ue. La prima sera sono 30 per strada. Possiedono i vestiti che indossano e quel documento cucito in tasca che è una sentenza. Sono ragazze da istituto, dove le hanno portate tanto piccole che non se lo ricordano nemmeno, alcune dichiarate "ritardate" da subito. Ma ora, dopo 18 anni là dentro, in fondo sono tutte così. In ritardo sulla propria vita, incapaci di organizzare una giornata che non sia scandita dai ritmi imposti dall’istituzione, di guadagnarsi il pane, di capire il significato di parole lontane come casa, famiglia, amore. La seconda sera sono rimaste in 20 nelle strade della grande città che le attira tutte, ricca e bella come l’hanno vista in televisione. Domani saranno dieci, cinque, inghiottite da uno dei tanti traffici o da uno dei molti tombini. Il Dipartimento rumeno per la protezione dell’infanzia fotografa queste storie con una cifra: sono 2.649 gli over 18 "in cerca di una sistemazione". Molto di più raccontano i volti delle ragazze che vivono in uno dei tanti "blocchi" grigi del quartiere di piazza Obor.
Niente tombini né sfruttamento, per loro, ma il sorriso di suor Nicoletta Danna, della Congregazione di San Giuseppe di Aosta, e delle quattro consorelle, da cui stanno imparando faticosamente a vivere. «Prima di tutto abbiamo dovuto insegnare le cose più elementari, la pulizia, la cucina, la cura di sé, e poi ad acquisire sicurezza in sé stesse, a imparare un lavoro, a studiare. Quando arrivano, alla domanda "Tu chi sei?" rispondono: "Un’orfana". Poi imparano a dire il loro nome». Oltre alle suore-mamme, nel gruppo-appartamento, in cui vivono anche alcune ragazze madri, ci sono i volontari dell’Ai.Bi. Spiega Daniela Trogu, 28 anni, coordinatrice per la Romania dell’associazione: «Non diamo mai soldi direttamente alle persone di cui ci prendiamo cura. Sappiamo troppo bene che in passato sono finiti in una bevuta al bar. Finanziamo gli studi delle ragazze o l’asilo per i figli delle mamme che lavorano, o comperiamo cibo e vestiti per oltre 30 famiglie della zona. Ci sono disoccupati, madri abbandonate, nonne lasciate sole a curarsi dei nipoti e persino una bisnonna con un bambino. Ma i soldi non sono tutto: ti si apre il cuore a vedere come queste ragazze imparano ad aiutarsi l’un l’altra. E poi capita anche che qualcuno da ospite si trasformi in operatore, un passaggio che stanno facendo molte di loro».
Quel che si impara in questi progetti dell’Ai.Bi. (tanti, diversi – dalle case-famiglia alle case d’accoglienza, agli aiuti ai singoli – e soprattutto agili, con un equilibrio che nasce dall’intelligenza e dalla passione), del resto, è ripetitivo: se le aiuti, le mamme non abbandonano i figli, se sostieni le famiglie non occorre mandare i bambini in adozione, se fai nascere iniziative locali non sarai costretto a strappare un piccolo alle sue radici. «Questo è il fondamento del principio di sussidiarietà», spiega Marco Griffini, instancabile presidente dell’Ai.Bi. «L’adozione deve essere solo la soluzione estrema. È importante ribadirlo in un Paese come la Romania, in cui dopo la rivoluzione c’è stata una fuga incontrollabile di bambini. Tra il 1° agosto 1990 e il 17 luglio 1991, oltre 10 mila ospiti degli istituti hanno lasciato il Paese grazie a un mercato che ha arricchito avvocati e funzionari e favorito abusi di ogni genere». Che la Romania non debba essere più il supermercato dei bambini "bianchi", così ricercati all’estero, è convinzione anche della commissione Affari esteri e diritti umani dell’Unione europea, che ha ripetutamente chiesto al Paese di adeguare la legislazione e soprattutto la quotidianità dell’adozione all’interesse del bambino. Dopo una serie di cambiamenti a livello normativo, ora le adozioni internazionali sono state bloccate in attesa di nuove regole. «Ma prima di tutto», ricorda Griffini, «occorre decidersi a pensare non solo ai neonati, ma anche ai più grandicelli, che rischiano di rimanere lì, come merci scadute sugli scaffali». r.m.
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